Dal 30 Aprile 2022 e per tutti i finesettimana (sabato e domenica) del mese di Maggio, l’Ex Convento di Santa Chiara a Piacenza apre con visite guidate gratuite dalle 10 alle 12 e dalle 14:30 alle 17
Cogliamo l’occasione per lasciarvi una breve cronistoria degli eventi che riguardarono il l’ex Convento dello Stradone Farnese e qualche foto in anteprima del percorso.
Da metà dicembre 2021 il muro di cinta dell’ex convento di Santa Chiara che affaccia sullo Stradone Farnese a Piacenza è stato rivestito da un murale di Tony Cuboliquido che con poche immagini riassume la storia di questo edificio e le attività svolte da coloro che nei secoli lo hanno occupato, con un rimando alla nuova destinazione d’uso (alloggi per studenti e persone diversamente abili).
In occasione dell’ evento artistico “Voce di silenzio sottile” è stato possibile nel dicembre 2021 accedere ad alcuni ambienti appartenenti dal 2004 alla Fondazione di Piacenza e Vigevano. Ho scoperto così l’insieme di edifici, purtroppo in parte in rovina, che formavano il grandioso convento delle Clarisse, una superficie di ben 12.000 mq! Mi è venuta così la curiosità di saperne di più. Vorrei raccontarvi alcune delle vicende salienti di questo edificio monastico, che in passato ha svolto un ruolo importante a Piacenza.
Dove oggi sorge l’ex convento di Santa Chiara nel 1229 sorse il primo monastero francescano della città di Piacenza. A soli 3 anni dalla morte di San Francesco i francescani e le clarisse si erano già insediati a Piacenza. All’epoca lo Stradone Farnese non esisteva ancora, c’era la Strada di San Bernardino che attraversava una zona rurale fuori dalle mura medievali, presso Porta San Raimondo.
A poca distanza dal convento francescano fu fondato il primo convento delle clarisse, i suoi resti non esistono più, ma dai documenti si evince che si trovasse nei pressi dell’ex ospedale militare. Le clarisse erano solo 5 all’atto della fondazione e provenivano tutte da famiglie nobili locali. Santa Chiara era ancora in vita e la sua regola, derivata da quella di San Francesco, era di fatto già in uso e prevedeva assoluta povertà e castità. A queste regole si aggiunse, solo per le suore, anche la clausura.
Nel 1278 il convento francescano di Via San Bernardino venne abbandonato dai frati minori di San Francesco, quando, durante le lotte tra Guelfi e Ghibellini, i frati ricevettero delle terre dal ghibellino Ubertino Landi, nei pressi di quella che stava diventando la Nuova Piazza Maggiore (attuale Piazza dei Cavalli). Lì dove il guelfo Alberto Scoto fece erigere il Palazzo del Capitano del Popolo, l’attuale Palazzo Gotico, sorse così la Chiesa di San Francesco.
In via San Bernardino (futuro Stradone Farnese) arrivarono così le Clarisse. Nel 1336 ci fu un primo ampliamento del complesso monastico, che si affacciava su di un grande chiostro, con tanto di orti e frutteti. Con lo sviluppo della città nel secolo successivo, il convento subì nuove modifiche, nuove finestre venivano aperte o chiuse, nuovi muri venivano innalzati per garantire l’effettiva clausura delle monache, verificata ogni volta dai vescovi.
Le badesse del rinascimento inizialmente mal sopportarono le intromissioni del vescovo, tanto che una di loro si rifiutò di baciare l’anello del vescovo in segno di sottomissione. Effettivamente al tempo non era ben chiaro se il monastero fosse sotto la giurisprudenza del Papa o del Vescovo
La chiesa alla quale si accede oggi dallo Stradone Farnese, nel suo aspetto attuale risale al 1605. Al suo interno sono decorazioni ad affresco eseguiti dagli artisti Alberto Aspetti, Luigi Mussi e Antonio Alessandri mentre i tre altari sono dedicati a San Rocco, Sant’Antonio da Padova, e quello maggiore dedicato al crocifisso miracoloso.
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Una LEGGENDA narra l’arrivo del crocifisso miracoloso nel convento: all’albeggiare due giovani pellegrini bussarono alla porta del convento chiedendo di lasciare in custodia un crocefisso sistemato in una cassetta. La suora che aprì loro la porta acconsentì e subito dopo i pellegrini se ne andarono. Questa raccontò subito l’accaduto alla superiora che incaricò il fattore del convento di rincorrerli per offrirgli ospitalità, e chiedere spiegazioni. Il fattore guardando fuori dalla porta vide però la strada innevata senza alcuna traccia delle impronte dei pellegrini. Nessuno reclamò mail il crocifisso, così le suore si convinsero che i pellegrini altro non fossero che angeli. Quel crocifisso ancora oggi è custodito in chiesa come oggetto miracoloso.
A sinistra della chiesa è la porta dalla quale si entra nel complesso monastico, quella incorniciata dal murale. Da qui si attraversa un’androne decorato da affreschi settecenteschi e si passa davanti a diversi ambienti come il Refettorio e lo scalone neoclassico. Questa è l’unica ala al momento accessibile, da qui si raggiunge un ampio spazio quadrato che in passato era occupato dal chiostro che in origine misurava 48 x 57 metri. Osservando i resti dei portici e dei loggiati si notano alcuni archi romanici appartenuti alla prima costruzione francescana, e diversi archi gotici relativi alla ricostruzione del 1336. Si notano infine i loggiati settecenteschi. Oltre il chiostro resta un altro edificio che nei documenti è denominato Bugandaja, la lavanderia, che doveva esistere già nel 1700.
Gli ultimi interventi del complesso monastico risalgono a fine 1700 e inizio 1800. Quelli che riguardano proprio l’ala da dove si accede attualmente. Questa sezione venne demolita e ricostruita perché essendo di molto sotto il piano stradale subiva continue infiltrazioni d’acqua. I muri fatti di mattoni di argilla cruda erano talmente corrosi che rischiavano di far crollare il tutto da un momento all’altro.
Non rimangono decorazioni del periodo più antico dell’edificio monastico, sopravvivono solo resti di affreschi quattrocenteschi che furono trovati nel 1800 in alcuni ambienti a fianco della chiesa. Questi frammenti di grande valore artistico appartenenti ad un ciclo pittorico, furono strappati dai muri e si trovano oggi presso la Galleria Nazionale di Parma e presso il Museo Civico in Palazzo Farnese. Questi ultimi, di cui riporto una parte in questa immagine, sono stati attribuiti ad Antonio de Carro e raffigurano, suddivisi in riquadri San Michele Arcangelo, Santo Stefano, Santa Chiara con una monaca, in un altro riquadro Santa Chiara regge il pastorale e il testo sacro, infine si leggono frammenti di una Crocifissione
L’edificio dovette subire anche l’occupazione, durante le guerre di Indipendenza, a partire dal 1858, di soldati, prima austriaci, poi francesi, infine italiani.
Altre fasi si susseguirono. Durante il periodo napoleonico i monasteri di Piacenza furono soppressi, ma quello di Santa Chiara sopravvisse, e ospitò anche le suore Teresiane. Maria Luisa d’Austria, Duchessa di Parma e Piacenza concesse l’uso del complesso per accogliere pie donne che avessero voluto vivere insieme. Venne così fondato nel 1845 il “Pio Ritiro Santa Chiara”, casa di ritiro per pie donne e di educazione per giovani fanciulle. Infine nel 1947 si insediò nell’ex monastero la congregazione missionaria dei Padri Saveriani, fondata a Parma nel 1895 dal beato Conforti. Oltre 100 persone tra saveriani, seminaristi pie donne e suore di Santa Gemma vissero per 20 anni nell’edificio occupando due ali dell’edificio, quelle a est e ad ovest del chiostro.
Nel 2004 avvenne l’ultimo passaggio di proprietà, da allora il complesso appartiene alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, per alcuni anni ospitò ancora le ultime occupanti del Pio Ritiro. Prossimamente inizierà il recupero dell’immobile da destinare entro il 2024 a studenti universitari e persone fragili.
L’ex convento di Santa Chiara è stato per me una vera scoperta, uno spazio immenso, nascosto dietro le mura di cinta che si affacciano sullo Stradone Farnese.