In occasione delle feste, illustriamo la ricetta di un piatto veramente tradizionale della cucina piacentina. In altre zone d’Italia li chiamano ravioli: noi li chiamiamo anolini o anvein in dialetto, e pensiamo di essere gli unici.
Perchè unici sono i nostri anolini, appunto (abbiamo cercato di trattenerci, ma si sa che il campanilismo enogastronomico infiamma gli animi anche più del calcio e della politica).
Gli anolini piacentini sono un piatto un po’ laborioso; confezionarli richiede vari passaggi e diverse ore in piedi, ed è per questo che ancora oggi nelle famiglie la giornata dedicata alla preparazione è da considerarsi piena, e vengono convocate più persone possibili – più spesso donne – con una divisione dei ruoli piuttosto rigida: chi è addetto al riempire, chi al chiudere e tagliare, chi a tirare la pasta e chi – ruolo che si può affidare senza danni anche ad un uomo – al sistemare i piccoli anolini in bell’ordine su un vassoio.
Come sempre, esistono diverse varianti. Nella zona della Val d’Arda, per esempio, il ripieno non contiene carne.
Per quanto riguarda le dosi, ognuno si regola in base alla propria ricetta di famiglia, tramandata a volte a voce o appuntata su vecchi quaderni. In generale, sfidiamo chiunque a farsi spiegare con precisione la ricetta: la cuoca è sempre approssimativa sulle dosi, come se fosse la preparazione stessa a richiedere la giusta quantità di questo o quell’ingrediente.
Non come in un documento del 1797 conservato all’Archivio di Stato di Piacenza, dove si legge:
“Dose per il ripieno [degli anolini] di 52 pezzi.
Once 10 e 1/2 di formaggio, n. 3 uova,
pane da pristinaio [secco], midolla di manzo, cervellato.”
Una precisione che ci insospettisce: questo documento viene dall’archivio di una famiglia nobile, ma ben sappiamo che queste ricette non sono state create da cuochi blasonati, bensì dalle donne di campagna, che avevano a disposizione solo alcuni ingredienti in determinati momenti dell’anno, e dovevano con questi imbastire i piatti migliori, soprattutto in occasione delle feste comandate.
Ma veniamo ora alla ricetta.
Si inizia il giorno prima con la preparazione dello stracotto.
Fate soffriggere in una pentola il burro con le verdure tritate grossolanamente. Rosolate la carne precedentemente steccata con l’aglio ed eventualmente lardellata. Aggiungete a piacimento un bicchiere di vino rosso secco, un Gutturnio ad esempio. Una volta ristretto, coprite con acqua o brodo, aggiustate di sale, e lasciatelo stracuocere, appunto, per 5/6 ore, finchè la carne sarà ben cotta e il sugo denso e saporito.
Tradizionalmente, per questo tipo di cottura si usa una grande pentola di terracotta, detta stuòn.
Tritate finemente lo stracotto, aggiungete il formaggio grattugiato e il pane scottato con il sugo dello stracotto, mescolate il tutto aggiungendo noce moscata.
Disponete la farina a fontana e rompete le uova al centro.
Aggiungendo un po’ di acqua calda e sale, lavorate la farina in modo da formare un impasto morbido ed elastico.
Stendete la pasta in lunghe strisce. Al centro, porzionate piccole quantità di ripieno, leggermente distanziate tra loro. Richiudete la striscia di pasta attorno al ripieno: questa è una fase molto delicata, che decide del futuro dei vostri anolini, se rimarranno chiusi durante la cottura oppure no.
Una volta sigillati con le mani, tagliateli con l’apposito stampino a forma di mezzaluna crestata.
Ora gli anolini sono pronti e possono essere disposti ordinatamente su un vassoio.
Ovviamente gli anolini devono essere esaltati da un ottimo brodo. Il migliore è quello in terza, preparato cioè con tre tipi di carne (manzo, maiale, gallina o cappone): una volta scaldato il brodo, versate gli anolini e in qualche minuto saranno pronti.
Serviteli fumanti con un buon bicchiere di Gutturnio.